ITALIA REPUBBLICA SOCIALIZZAZIONE
I 120 GIORNI DELLA SOCIALIZZAZIONE. SPINELLI
E MANUNTA AL MINISTERO CORPORATIVO Archivi del sindacalismo
Nunziante Santarosa
Ci è capitato fra le mani un volume non vecchio,
bensì antico, un vero e proprio incunabolo, dovuto alla penna di
un importante teorico del sindacalismo fascista espressivo dell’avanguardia
sociale più intransigente, nonché giornalista autorevole
e raffinato saggista. Di più: protagonista, nell’ambito della Repubblica
Sociale Italiana, di battaglie sulle pagine di testate storiche come Il
Corriere della sera ( di cui fu vice direttore con la gestione Amicucci
) e Il Secolo - La Sera ( del quale fu direttore ) volte a spostare il
regime di Salò su posizioni sempre più rivoluzionarie.
Su questo personaggio abbiamo già avuto occasione
di intrattenerci in Pagine ricordandolo per le elaborazioni e, in più
generale, per il lavoro sindacale svolto durante il Ventennio littorio.
Si tratta di Ugo Manunta e il suo libro reca il titolo La caduta degli
angeli - Storia intima della Repubblica Sociale Italiana, nei cui capitoli,
ricchi di documentazione, dà anche ampiamente conto delle esperienze
delle organizzazioni dei lavoratori del tormentato periodo nonché
di quelli che presenta come i 120 giorni - gli ultimi dei 600 della RSI
- maggiormente caratterizzati dalle iniziative riformatrici promosse con
straordinaria energia dal ministero del Lavoro retto dall’operaio tipografo
Giuseppe Spinelli, proveniente dai ranghi del sindacalismo rivoluzionario
e, dopo la costituzione della repubblica, dirigente dei metalmeccanici
e podestà di Milano.
Orbene, accanto a Spinelli, Mussolini collocò,
in qualità di Direttore Generale per la socializzazione, proprio
Ugo Manunta. La RSI poté così affidarsi, onde vivere appieno
la sua vicenda trasformatrice, su di un tandem che produsse una spinta
propulsiva destinata a mettere in crisi orientamenti conservatori ed equilibri
moderati collocati anche all’interno del fascismo repubblicano. Da notare
che l’abbinamento Spinelli - Manunta fu voluto dal Duce, insofferente del
moderatismo del ministero della Economia Corporativa Angelo Tarchi che
“applicava la socializzazione col contagocce”, secondo la denuncia del
Manunta medesimo. Il Tarchi venne spostato al ministero per il Commercio
con l’Estero.
La socializzazione era pura illusione, una sorta
di Fata Morgana, un sogno fiorito in spiriti illuminati frammezzo alle
macerie di una Italia messa a ferro e fuoco da due eserciti stranieri che
se ne contendevano i brani ? E Mussolini era ormai solo un visionario isolato
e disoccupato che trascorreva oziosamente le sue giornate giocando a fare
il rivoluzionario?
Dice in proposito il Manunta: “Illuso è colui
che ipotizza, per errore o per suggestione operata da altri su di lui,
uno stato di cose che non esiste, e che pertanto agisce fuori dalla realtà:
il che contrasta con gli atteggiamenti nettamente realistici assunti, invece
dagli uomini che nel fascismo repubblicano si schierarono decisamente a
sinistra”. E soggiunge: “essi pensavano che (...), indipendentemente dal
risultato delle armi ci fossero attività degne di essere sviluppate
pure in quelle drammatiche circostanze, e forse più facilmente portate
alle loro estreme conclusioni che non in tempi normali. Era illusione non
lasciarsi fuorviare dalla contingenza e continuare a credere che meritasse
la pena di restare sulla breccia ad occuparsi di salari, di cottimi, di
socializzazione?”
Ancora: “Il fatto che la tutela del lavoro non sia
mai venuta meno per tutto il tempo della guerra ha permesso di mitigare
il disagio delle categorie lavoratrici in un periodo particolarmente difficile,
ma si sono avute e si hanno di tale attività conseguenze visibili
anche nella vita presente”. Il saggio manuntiano di cui veniamo trattando
è venuto alla luce nell’anno 1946 da una certa romana Azienda Editoriale
Italiana non meglio identificata. C’è quindi da credere all’autore
quando afferma che dell’operato dei suoi colleghi sindacalisti nei mesi
dell’ira restano tracce concrete e accertabili nel dopoguerra. E, aggiungiamo
noi, non solo di quello immediatamente successivo allo scatenamento dei
furori fratricidi. Osiamo osservare, senza tema di smentita, che frutti
niente affatto irrilevanti del remoto impegno non solo tecnico ma pure
rivoluzionario di quei paladini del lavoro ancora vivono, ancorché
irriconosciuti, nel sistema sindacale attuale.
Ma veniamo a quel quadrimestre rinnovatore e trasformatore
cui prima si accennava. Annota lo scrittore sardo: “Abbiamo accennato al
sacro furore di cui furono pervasi i dirigenti del neo ministero del Lavoro
negli ultimi quattro mesi della Repubblica Sociale Italiana. Vi ritorniamo
per aggiungere che in quei 120 giorni tutta la problematica sindacale fu
riesaminata dalle basi, in vista di un profondo rinnovamento della vita
sociale, e che da questa febbre rivoluzionaria scaturirono decisioni di
reale importanza per le categorie lavoratrici. Tutta l’azione del Ministero
tendeva a recuperare il tempo perduto in un ventennio di sterili compromessi
(...). Mentre con l’applicazione della socializzazione a un intero settore
produttivo - quello industriale - si metteva l’accento sulle nuove responsabilità
del lavoro e sul declassamento del capitale, aprendo uno spiraglio ad un
nuovo tipo di economia equidistante da quella individuale e da quella collettiva,
si provvedeva infatti alla quasi contemporanea sistemazione delle categorie,
con clausole non equivoche e di una larghezza veramente eccezionale, e
si poneva allo studio il problema della casa dei lavoratori”.
Ed eccoci al tema ristrutturativo delle federazioni
e confederazioni dei lavoratori che Ugo Manunta così rievoca nei
suoi dati di fondo: “Nello stesso tempo si affrontava un’altra ardua questione:
quella del nuovo ordinamento sindacale in un’unica organizzazione comprendente
tutti i produttori, che avrebbe dovuto costituire l’intelaiatura di quel
nuovo Stato del Lavoro ch’era ormai la meta di tutti i sindacalisti, accomunati
in quell’ultimo disperato tentativo di realizzare in una sola volta tutte
le aspirazioni più profonde delle categorie lavoratrici”.
Si tenga presente che alcuni mesi prima dell’affidamento
del neo ministero del Lavoro all’asse Spinelli - Manunta, il ministro dell’Economia
Corporativa si era fatto approvare in una riunione di governo un disegno
di legge relativo al nuovo ordinamento sindacale. Il saggista fa ad esso
riferimento, et pour cause, senza la benché minima benevolenza.
Dice: “Ne trattarono sulla stampa alcuni competenti, per lo più
disapprovando. E in realtà quel disegno di legge non era un capolavoro,
soprattutto perché agli estensori era mancata quella visione profondamente
innovatrice che era necessaria per affossare definitivamente il vecchio
stato capitalistico”. Particolare niente affatto irrilevante: il “disegno“
era stato riprodotto sulla stampa corredato da inusitato avvertimento.
E cioè: il governo ne sottoponeva contenuti e forma agli interessati
acciocché lo monitorassero per quindi esternare eventuali perplessità
o chiari dissensi prima dello sdoganamento.
Appena insediato, Spinelli inserì nell’agenda
di lavoro la nomina di una commissione incaricata di mettere mano alla
suddetta “ visione profondamente innovatrice “. Alcuni nomi di suoi componenti:
il Galanti, Amadio, l’ex direttore de Il Lavoro Fascista Luigi Fontanelli,
il sindacalista Giuseppe Grossi, il dirigente dell’associazione per il
Pubblico Impiego prefetto Mancuso, il capo della segreteria politica di
Pavolini Olo Nunzi, Belletti, Rossano, Margara e altri. La Commissione
approntò subito un altro decreto in cui afferma Manunta, “presupposta
un’economia socializzata, si prescindeva in ogni punto dalla figura del
capitalista e si gettavano le basi per un riordinamento degli enti locali
e delle stesse assemblee rappresentative. Ne risultò un documento
di notevole valore politico oltre che giuridico. E per averne un’idea basterà
che i membri della commissione avevano dovuto decidere non solo su come
intelaiare il nuovo tipo di organizzazione sindacale unitetica, ma anche
in quali termini di legge tradurre tutte quelle conquiste del lavoro alla
cui affermazione avevano invano lavorato per vent’anni. Scomparsi i contraddittori,
cioè i rappresentanti delle confederazioni padronali, sciolte con
una legge di due mesi prima, essi si trovavano ora a legiferare....”.
Ma i commissari andarono oltre: “In quanto alla
figura del capitalista essa fu sistematicamente ignorata, mentre fu delineata
con estrema chiarezza quella del capo della impresa di cui parlava la legge
sulla socializzazione, cioè l’animatore e il tecnico dell’azienda,
lavoratore anche lui, e quindi a buon diritto socio di questo nuovo sindacato
che avrebbe dovuto costituire il pilastro dello Stato del Lavoro, e in
alcuni casi sostituirsi a molti enti locali le cui funzioni non potevano
non essere assorbite da tale nuovo ente di diritto pubblico”.
Infine: “Alle organizzazioni dei lavoratori si concedevano
compiti di un’insolita ampiezza. Il cittadino diveniva elettore in quanto
lavoratore, e il corpo legislativo era la risultante di elezioni di secondo
grado fatte dai rappresentanti delle categorie lavoratrici, con la garanzia,
dunque, di essere formato esclusivamente da produttori, tutti esprimenti
interessi legittimi nello Stato”.
PAGINE LIBERE Mensile culturale della CISNAL. Ottobre
1997.